"Cleveland" un doc contro Wall Street

Cannes, "Cleveland" un doc contro Wall Street
di Gabriella Gallozzi tutti gli articoli dell'autore

La chiamano la «signora in rosso» ed è la nuova Erin Brockovich (la donna che vinse una class action contro un’impresa inquinatrice poi descritta in un film con Julia Roberts). Nata a Cleveland, Ohio, Barbara Anderson è diventata la paladina della lotta contro le banche responsabili della cosidetta «bolla immobiliare» che ha gettato per strada migliaia di americani, portando alla crisi di cui l'intero pianeta sta pagando le conseguenze. Oliver Stone, la crisi, ce l'ha raccontata partendo dal tempio della finanza, mostrandoci i responsabili del disastro. Cleveland contro Wall Street l'analisi la fa dal «basso», dalle vittime degli ormai noti «subprimes». Il cinema documentario, ancora una volta, dà la vera sferzata al festival. E ieri applausi ed entusiasmo hanno accolto il nuovo lavoro dello svizzero Jean-Stéphane Bron, presentato alla Quinzaine des réalisateurs, mentre fuori concorso Inside Job di Charles Fergus raccoglie un gran numero di interviste sul tema. Cleveland contro Wall Street ci racconta la battaglia della coraggiosa Barbara Anderson e del suo avvocato, Josh Cohen, che nel 2008 hanno cercato di portare in giudizio una ventina di banche, responsabili del pignoramento immobiliare che ha devastato i quartieri più poveri di Cleveland, ormai ridotti in luoghi fantasma. E trasformato la stessa città nel «ground zero» della crisi dei «subprimes».

Nella realtà, però, Wall Street è riuscita con ogni mezzo ad impedire l'apertura del processo. Questo documentario lo mette in scena comunque, ma con storie e testimoni reali. Eccoli i veri cittadini di Cleveland nell'aula del «finto» tribunale. Il primo testimone è Robert Kole, un poliziotto addetto agli sfratti. Ne ha compiuti anche dieci al giorno. In maggioranza a persone anziane, senza risorse, sole. Ci racconta dell'angoscia e della pena provate nel buttarli fuori dalle loro case, sapendo che non avevo alcun posto dove andare. E poi gli sfrattati, come Raymond Velez, operaio con due figli a carico. La casa dove viveva con la famiglia da 12 anni l'aveva pagata 26mila dollari, ma le ristrettezze economiche l'hanno portato a ristipulare una serie di ipoteche dagli interessi sempre più alti, fino a 70mila dollari. Impossibile da pagare per un operaio. Come tanti altri cittadini. Frederick Kushen lavora anche di notte per pagare i debiti, sperando così di salvare la sua casa. E poi c'è anche Keith Taylor, un ex intermediario esperto in ipoteche. Lo pagavano a commissione per vendere centinaia di subprimes, racconta. Sono soprattutto i più poveri, la gente meno avveduta le vittime della speculazione. Lo denuncia la stessa Barbara Anderson che spiega come la macchina finanziaria abbia puntato in modo sistematico allo sfruttamento senza scrupoli dei neri, dei poveri, delle classi più ai margini. Quello che vediamo nel film è «il capitalismo in azione», come sottolinea il regista. L'avidità senza scrupoli del mondo finanziario che ci ha trascinato nel baratro.

E anche le banche hanno il loro avvocato in questo processo. È la difesa addetta al controinterrogatorio di ogni testimone che punta a strappare la solita considerazione: i debiti vanno pagati, la colpa è di chi ha fatto il passo più lungo della gamba. Le banche dunque, sono innocenti. Come testimonia un altro teste di spicco: Peter Wallison, vecchio consigliere della Casa Bianca addetto alle finanze, è strenuo sostenitore del mercato senza regole. L'ultima scena del film ci mostra Barbara Anderson chiedere giustizia di fronte ad Obama che dà tutte le sue garanzie. Mentre un cartello finale ci informa dei fondi stanziati dal governo americano per rifinanziare le banche. Nessun colpevole per questa crisi.

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